“This is my land, Hebron”

Vedere la città di Hebron è un’esperienza intensa. In questi giorni trascorsi nella zona di Gerusalemme ci sono state raccontate le diverse sfaccettature che l’occupazione israeliana assume, ma trovarsi nel cuore della città vecchia le palesa in forma cruenta.

Hebron è una città particolare, un caso unico in tutta la Cisgiordania, in quanto una colonia si è sviluppata al suo interno. La parte antica della città è divisa in due: il piano inferiore è il vecchio mercato palestinese, mentre quello superiore è occupato dai coloni. Nonostante le occupazioni coloniali siano ritenute illegali dal diritto internazionale, nel protocollo di Hebron – stipulato in seguito alla strage della moschea del patriarca –l’insediamento israeliano è stato avvallato ed è stata prevista una divisione della città in due zone (H1 e H2). Questa rende alcune parti di Hebron inaccessibili, altre invece con specifiche limitazioni.

Come ci ha spiegato M.,uno dei pochi negozianti rimasti nella città vecchia, all’interno dell’area H2, i palestinesi possono percorrere alcune strade solamente a piedi, altre anche in automobile, mentre altre ancora sono del tutto inaccessibili.  Per questo può capitare che per percorrere distanze molto brevi sulla mappa, si è costretti a prolungare il percorso di diversi chilometri. Inoltre innumerevoli check point interrompono la maggior parte delle vie di comunicazione.

La sensazione, mentre si attraversa la parte occupata, è quella di camminare in una città fantasma – non a caso c’è una via soprannominata “ghost street”- in cui il largo impiego di militari è solo un pretesto per far sentire imprigionati i palestinesi in un luogo di cui sono già stati espropriati. Giovani militari stanno a proteggere una follia securitaria collettiva, difendono le recinzioni del vuoto che il progetto sionista ha creato, una precisa progettazione che costantemente preme e schiaccia il popolo palestinese.

È abominevole pensare che tutta questa crudeltà sia stata messa in atto per uno spazio totalmente vuoto, un territorio che viene utilizzato come museo a cielo aperto in cui i turisti sionisti vengono a vedere perché sia necessario scacciare gli arabi che si “ostinano ad esistere”, dove i giovani soldati vengono addestrati  immaginando un nemico che si annida ovunque.

Quando abbiamo raggiunto il check point per entrare nella ghoststreet, la nostra guida aveva già iniziato a spogliarsi prima ancoradi superare i tornelli, abituato alla serie di rigidi controlli dei militari: spesso capita infatti che le persone vengano costrette a stare in mutande, aspettando di ricevere il permesso di superare il check point. La violenza qui sembra essere ormai una cosa normalizzata: una scena ci ha particolarmente colpito, ad un checkpoint un soldato israeliano in servizio giocava sorridendo con due bambini, permettendo loro di toccare il secondo caricatore del fucile automatico che lui aveva in mano.

Nella parte occupata della città vivono ancora alcune famiglie palestinesi che vengono sottoposte a censimenti quotidiani, durante i quali, in caso di mancata risposta o di momentanea assenza per qualsivoglia motivo, coloro che non sono presenti perdono la propria casa. Ad Hebron, se ti ammali e sei costretto a trascorrere alcune notti ricoverato in ospedale, vieni privato della casa. Per questi motivi le famiglie, costrette a lasciare sempre qualcuno a presenziare per non vedersi espropriate dei propri beni, non escono mai tutte assieme dalla loro abitazione.

In questa città emblema dei conflitti, delle follie e delle contraddizioni che quotidianamente caratterizzano la vita della popolazione palestinese, abbiamo incontrato Nisreen, pittrice palestinese che, rischiando molto data l’estrema vicinanza della propria abitazione con gli insediamenti israeliani, accoglie i visitatori internazionali per testimoniare loro la vita di soprusi che, assieme ai suoi figli, è costretta a subire e gli abusi quotidiani perpetuati nei loro confronti dai coloni. Ci ha raccontato di suo marito Hashem, medico palestinese, morto nel 2015 a causa di un’insufficienza cardiaca: non fu permesso all’ambulanza disuperare i check point della città vecchia e di raggiungerlo per salvargli la vita. È impossibile descrivere la grandezza della sua ospitalità: ci ha impressionato la forza che questa donna ha dimostrato, trattando argomenti che per lei risultano sicuramente essere ferite ancora aperte e dolenti. Con questo link è possibile vedere il video che lei stessa ci ha mostrato, una storia di Hashem che raccoglie sia spezzoni di alcune sue interviste ad opera di un gruppo di italiani cui lui aveva fatto da guida ad Hebron, sia la storia della sua morte. https://www.youtube.com/watch?v=8OquULShNX4&feature=share

Facciamo nostro il suo invito, venite a vedere con i vostri occhi quello che accade qui perché le parole non sono sufficienti a farlo comprendere.

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