Peace or Pieces?


Nella seconda giornata di viaggio abbiamo visitato Gerusalemme. Questa volta ci ha accompagnato in uno splendido giro per le vie laterali della città vecchia una guida palestinese, originaria del Ciad. M. ci ha raccontato episodi di microstoria e portato nei luoghi nascosti dove ora si consuma il confronto tra coloni israeliani e nativi palestinesi.

“Quant’è grande la città vecchia?” M. ci spiega che in un solo km quadrato, convivono più di 35 000 persone provenienti da tutto il mondo. Ci racconta come, durante la sua infanzia, l’elevato numero di persone in così poco spazio permettesse una vita comunitaria: la città vecchia era come una grande famiglia, non solo si mangiava insieme in una quasi totale e piacevole assenza di privacy, ma era di per sé difficile definire univocamente cosa fosse la città. Mille religioni e mille culture si mischiavano in un grande melting pot. 
Oggi la situazione è diversa: il progetto politico sionista, infatti, prevede l’espropriazione di case palestinesi a beneficio dei coloni. Spesso ciò accade in modo subdolo: rivendicando come loro proprietà le case che sorgono su presunte tombe ebraiche, espropriandole per motivi politici, oppure con metodi ancora più originali. Capita anche che, tornando dai festeggiamenti di un matrimonio, ci si ritrovi i coloni in casa: impossibile sgomberarli.
Un raro caso in cui i palestinesi, dopo solo 15 anni di attesa burocratica e diverse migliaia di dollari spesi, sono riusciti a riprendere possesso delle loro abitazioni lo scopriamo quando M. ci fa notare due case più recenti rispetto a quelle circostanti. Qui, infatti, a seguito dei lavori di costruzione della fognatura da parte di coloni israeliani, due edifici abitati da palestinesi avevano subito gravi danni strutturali. L’amministrazione della città, constatati i danni, si era adoperata per abbattere i due edifici e nel mentre aveva fornito una sistemazione provvisoria in albergo ai residenti evacuati. Fin qui, tutto bene. Passati 21 giorni, abbattuti i due edifici, le famiglie palestinesi si sono però ritrovate non solo senza la loro casa ma anche senza il permesso di ricostruirla per il decennio successivo.
Percorrendo la strada che porta al Muro del Pianto, M. ci racconta del desiderio sionista, per fortuna rimasto solo tale, di rendere questa strada percorribile unicamente da ebrei. “We want peace”: questo è ciò che gli israeliani dicono di volere. “Do they really want peace? Or they want pieces?”. Dietro la pubblica intenzione di un futuro di pace per la propria popolazione, gli isrealiani paiono nascondere l’ossessiva ricerca di un territorio totalmente purificato ed a loro uso esclusivo. La futura terra promessa viene così costruita: rubando, occupando, strappando con la violenza pezzi di terra al popolo palestinese.
M. ci tiene a sottolineare come, nonostante tutti gli uomini e le donne “nascano nudi” e uguali, alcuni ritengano di avere più diritti di altri. C’è differenza fra “education to power and power of education”: i coloni israeliani paiono ricevere esclusivamente la prima. 
Education of power insegna che il successo personale si ottiene solamente con l’oppressione.
Il modello coloniale israeliano è la massima espressione di questa forma di organizzazione sociale basata su accumulazione e dominio.

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