Il progetto climbing in West Bank prosegue!

Molto volentieri pubblichiamo questa corrispondenza scritta da un* compagn* che abbiamo conosciuto durante il nostro viaggio e che ci comunica con soddisfazione che il progetto di arrampicata libera prosegue, con la grande partecipazione dei ragazzi palestinesi e il sostegno di Laylac. Free climb in free Palestine!

Continua per i palestinesi l’esperienza dell’arrampicata, è così che  ogni venerdì un gruppo di ragazzi e ragazze palestinesi si ritrovano di  fronte a Laylac armati di corde e magnesite. Laylac associazione nel  campo profughi di Dehisha, vicino a Betlemme, sta continuando a  sostenere con gran tenacia il progetto climbing.

Per capire il ruolo dell’arrampicata  nei territori occupati  palestinesi, bisognerebbe sapere cosa vuol dire vivere sotto occupazione  israeliana. Nascere sotto occupazione significa porre limiti  continuamente alla vita e alla libertà personale, ancora prima di  nascere. La contraddizione di vivere questi limiti quando da piccoli,  tutto sembra illimitato e bisognerebbe essere liberi di essere felici.


I bambini crescono osservando accuratamente ciò che accade attorno a  loro, alle loro famiglie, alle loro comunità. Ogni bambino o bambina, ha  almeno un fratello, una sorella, una madre o un padre che è o è stato in
carcere, o è morto, martire. È così che è nata la necessità di trovare nuovi modi per sentirsi  liberi. Arrampicare è una nuova sfida, contro tutti quei limiti che  altri hanno imposto sulla nostra via. Arrampicare in un tutt’uno con se  stessi e con la natura, aiuta a ricostruire un equilibrio interiore,  quando a volte ci si sente confusi o vuoti, quando non si trova un  senso, essendo testimoni di sola ingiustizia e violenza. In generale quando si arrampica ci si relaziona con i propri limiti e le  proprie capacità, nei territori occupati assume un significato maggiore.  È come una rivendicazione di quella mancata spensieratezza giovanile, di  quei diritti calpestati, e di quel futuro incerto.

Come in ogni società le donne sono spesso associate a caratteristiche,  come debolezza, capacità limitate, poca forza fisica. Qui si lotta per l’emancipazione della donna, come per l’emancipazione  di un popolo. Arrampicare aiuta ad andare oltre ai ruolo predefiniti di donna o di  uomo. Per questo nel progetto si tenta di coinvolgere ragazzi e ragazze,  donne e uomini, bambini e bambine, perché crediamo nella diversità, e in  quanto tale la rispettiamo.

L’arrampicata rappresenta affrontare un ostacolo. Sulla stessa montagna  ognuno ci proietta il proprio mostro, le proprie paure. Si arrampica  passo dopo passo, mettendo obiettivi, costruendo se stessi, il proprio  background, costruendo la propria strada. Da soli per la maggior parte  del tempo. Come ha dire che se non ci si preoccupa della propria via,  del proprio futuro in prima persona, nessuno lo farà per noi. Ogni metro è un affronto all’occupazione israeliana, ogni metro  rappresentata la conquista del potere di sognare, del poter immaginare e  lottare per un mondo migliore, più giusto. Questo è il segreto  dell’arrampicata qui che semplicemente pare essere priva di limiti.

E allora continueremo a lottare, come a scalare, spinti dalla voglia,  dalla necessità di raggiungere la vetta, che altro non è che la nostra  cara amata libertà.

Dheish Camp, 28/2/2018