Jordan Valley Solidarity (forever).
La parte orientale della Palestina è una grande distesa desertica e al tempo stesso uno dei bacini idrici più importanti del Vicino Oriente. Qui si trova Gerico, una delle più antiche città del mondo, oggi tra le città più costose della West Bank, nel sogno di un impossibile turismo in queste terre in guerra permanente.
Gerico si trova nel cuore della Valle del Giordano, terra di popolazioni nomadi oggi costrette alla stanzialità. La vita di queste comunità e degli abitanti palestinesi è segnata da una lotta costante contro i progetti coloniali di Israele su terra e acque. La Valle del Giordano rappresenta il 30% della Cisgiordania; fino alla guerra del ’67 ci vivevano 320mila persone, oggi ridotte a 56mila. Lo svuotamento dell’area è andato in parallelo alla costruzione delle colonie (oggi si contano circa 10mila settlers) e all’occupazione militare.
R. è uno degli attivisti del comitato Save Jordan Valley. La sua famiglia appartiene alla stirpe di popolazioni beduine che oggi tenta di costruire degli insediamenti permanenti, nonostante i divieti e le restrizioni dell’occupazione. Ci accompagna al villaggio di Bedul Kahbna, dove i suoi abitanti vivono principalmente di allevamento. I pochi edifici sono costruiti o con materiali naturali, come la terra, la paglia e il legno, o con lamiere improvvisate. Il motivo principale è legato alla precarietà di questi insediamenti: periodicamente l’esercito israeliano demolisce case e stalle, per cui l’utilizzo di questi materiali permette il loro recupero per la ricostruzione. Nonostante la legge israeliana imponga la distruzione degli edifici solo se superiori a 4 metri di altezza e se costruiti in cemento, è l’insediamento in sé a essere considerato illegittimo.
A Bedul Kahbna c’è anche una scuola per i bambini dell’insediamento. Alcune sue parti sono state realizzate grazie al supporto internazionale, sia economico che pratico. La scuola, considerata illegale, è senza acqua e senza elettricità; per questo sul tetto sono stati messi dei pannelli solari, in modo da essere autonomi dalla rete israeliana. Il problema dell’acqua è comune però a tutto il villaggio e, in generale a tutta la Valle del Giordano, nonostante a pochi metri passino le principali infrastrutture idriche. I palestinesi non hanno infatti alcun diritto di accesso all’acqua. Per procurarsela sono costretti a rifornirsi con delle autocisterne nelle zone A e B, pagandola molto cara.
Lungo tutta la Valle del Giordano è infatti possibile vedere delle oasi verdi isolate: sono generalmente coltivazioni di proprietà israeliana, perché le risorse idriche sono destinate unicamente ai coloni. Secondo un report di Save the Children del 2009, 9400 settlers utilizzano quasi 7 volte la quantità di acqua di 56mila palestinesi. Il problema dell’acqua è anche un problema della terra e dell’agricoltura. E quindi del lavoro. La lotta che portano avanti il Save Jordan Valley e la Palestinian Farmer Union si muove su questi piani per bloccare, in definitiva, lo spopolamento.
“Quello di cui abbiamo bisogno”, ci dice R. quando arriviamo al villaggio di Faysal, “è uscire dall’emergenza tipica dell’azione delle ONG. Di solito agiscono nel momento del bisogno, dandoci ad esempio una tenda quando demoliscono la nostra casa, ma quello che manca è un progetto. Noi abbiamo bisogno di andare oltre la mera possibilità di sopravvivere, creando un’economia autosufficiente e sostenibile”.
Assieme al furto di acqua da parte di coloni ed esercito, le comunità devono affrontare anche la sottrazione delle terre permessa anche dalle politiche dell’Autorità nazionale palestinese: “Noi non abbiamo il certificato di proprietà della terra, non avendo quindi modo di dimostrare che queste terre ci appartengono. In questo modo per Israele è molto più facile appropriarsi delle zone coltivabili e utili all’insediamento”. In tutta la Valle ci sono cinque check point militari e una safe zone che corre lungo tutto il Giordano, precludendo l’accesso ai palestinesi alle terre più fertili, “il nostro granaio, la base della nostra economia di sussistenza”.
R. è molto diretto nel dirci che il nostro compito, una volta tornati, non è solo condividere il loro progetto e la loro lotta, ma fare in modo che sempre più persone attraversino quei luoghi affinchè la loro sopravvivenza si trasformi in un’esistenza degna. “To exist is to resist” è il motto di questi contadini e degli abitanti: non è solo uno slogan, ma il modo di opporsi quotidianamente al furto delle loro terre.
Faysal, 2/1/2018
p.s. Questa notte l’esercito ha fatto irruzione nei campi di Deisha e di Aida, come risposta alla manifestazione di due giorni fa. Molti ragazzi hanno cercato di opporsi strada per strada. Purtroppo i soldati sono riusciti a prendere quattro persone, tuttora in carcere e di cui attendiamo di conoscere la sorte. Quello di cui siamo sicuri è che non saranno lasciati soli. Ci sembra doveroso riportare la notizia, visto il silenzio assicurato da parte dei nostri media. Free Filastin.